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LA PERIZIA PSICHIATRICA NEL PROCESSO PENALE L'Avvocato risponde 

LA PERIZIA PSICHIATRICA NEL PROCESSO PENALE

Dalle pagine della nostra cronaca, enucleiamo la notizia del rinvio a giudizio abbreviato di un personaggio, già noto alle nostre Forze dell’Ordine: questa volta il capo di imputazione si riferisce a spaccio, guida senza patente e detenzione di arma da taglio ed è “condizionato alla richiesta di perizia psichiatrica”.

Non è tanto importante, in questa rubrica, ricordare il nome dell’imputato, quanto approfondire nei limiti possibili, quello che è previsto dalle nostre norme giudiziarie: e ciò facciamo con la collaborazione dell’avvocato Simone Labonia e del suo staff di penalisti.

Ben sappiamo come sia importante, per lo svolgimento di un “giusto processo”, l’intervento degli esperti che collaborino con il giudice, nella formazione di una completa valutazione, basata su specifiche competenze tecniche o scientifiche.
La perizia, quindi, è un mezzo di prova definito dall’art.220 c.p.p. con delineazione dei suoi limiti: in maniera particolare, la “perizia psichiatrica” non può essere demandata a stabilire l’abitualità del reato o la tendenza a delinquere del reo, non dipendenti da cause patologiche.

Nell’ambito del processo penale, detta perizia può essere richiesta durante il dibattimento, nell’udienza preliminare, nel rito abbreviato (come il nostro caso di cronaca), o attraverso l’incidente probatorio. Può essere avanzata sia dal giudice che dai difensori, in riferimento un po’ a tutti i soggetti che compaiono nel procedimento: come l’indagato, l’imputato, il testimone, la vittima, il condannato o l’internato.
In riferimento all’indagato/ imputato, la perizia deve accertare la sua capacità processuale, la possibilità di utilizzare misure cautelari alternative, la presenza di un vizio parziale o totale di mente al momento del fatto, e la sua eventuale pericolosità sociale.
La “non punibilità” per vizio di mente, è regolamentata dall’art.85 c.p.p. e trova motivo nella dimostrata insensibilità dell’effetto inibitorio di una pena, nei confronti di soggetti non imputabili.

La “capacità di intendere” è quella che dà percezione di valutazione delle proprie azioni e delle conseguenze che produrranno, mentre la “capacità di volere” focalizza la reale attitudine del soggetto, nel perseguire un’azione, comportandosi in maniera coerente alla sua scelta: l’assenza dell’una esclude, automaticamente, anche l’altra.

Vi sono poi i fattori non precisamente patologici, oggetto della perizia: ad esempio uno stato di ubriachezza, un’intossicazione da stupefacenti, l’età compresa tra i 14 ai 18 anni di chi ha commesso il reato o la circostanza che l’incapacità, sia stata determinata da un’azione di altri.

Il perito, a seguito di incarico ricevuto ed ai sensi dell’art. 228 c.p.p. può prendere visione di tutti gli atti contenuti nel fascicolo del dibattimento, per avere una panoramica completa dei fatti inerenti la sua chiesta pronunzia professionale.

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